Grazie a un’indagine sulle musiche attuali è stata messa nero su bianco la condizione «preoccupante» (e nota) degli operatori del settore – Quasi tutti percepiscono la difficoltà nel trovare un posto in cui esprimersi

Battere i pugni sul tavolo funziona fintanto che il rumore arriva all’orecchio giusto. In caso contrario, è la «solita» musica. La stessa che gli operatori culturali, attivi nella scena indipendente, cercano di far ascoltare da tanti anni. Una canzone che parla, tra le altre cose, di precarietà di finanziamenti, di mezzi, di posti in cui esprimersi e di sostegno. Ora sembra che l’orecchio giusto sia stato trovato, anche grazie – se non soprattutto – all’esperienza de La Straordinaria-Tour Vagabonde (e alle richieste contenute nella Carta della Gerra) che ha iniziato ad invertire il corso di alcune cose. La Divisione cultura della Città ha presentato i risultati di un’indagine sulle musiche attuali, prettamente indirizzata agli operatori culturali attivi nel settore. Hanno risposto in 123 su 200. I dati, che hanno messo nero su bianco la «solita» musica, sono «preoccupanti», come è stato detto durante l’incontro con la stampa e a cui hanno partecipato anche operatori del settore, oltre al capodicastero Roberto Badaracco, al direttore Luigi Di Corato e alla responsabile Laura Brenni. Ad esempio, l’84% di chi ha risposto non ha ricevuto in passato contributi dalla Città per attività musicali, il 77% dei ricavi deriva dall’autofinanziamento e solo il 23% da contributi di terzi.

Un cambio di paradigma?

Prima, il contesto. Nel 2021 la Divisione cultura ha avviato una campagna di indagini conoscitive sui settori che compongono il tessuto culturale luganese. La prima indagine, pubblicata nel 2022, è stata dedicata alla musica classica e di tradizione. Poi è arrivato il turno delle musiche attuali (il questionario è stato sviluppato in collaborazione con la sezione regionale di SONART). A luglio, verranno esplorate le arti sceniche (danza e teatro). Bene, adesso vediamo i dati, che mostrano una scena luganese viva, dinamica e variegata malgrado una situazione a livello finanziario che non permette di vivere delle sole attività legate a questo settore. Di sola musica non si vive, dicono alcuni. E così i numeri. Come accennato, su un campione di 200 persone hanno risposto in 123 (il 74% è domiciliata a Lugano o nel Luganese): il 68% sono uomini, il 30% donne e il 2% non binario. Nel settore, è emerso, esiste un mondo di autodidatti (quasi la metà) e la maggioranza è composta da giovani operatori con un età media di 35 anni.

Uno dei tasti dolenti è la situazione finanziaria. Il 70% dei professionisti e semi professionisti ricava meno del 50% del suo reddito annuale da attività legate alla musica, ovvero meno di 20.000 franchi annui. Motivo per cui la stessa percentuale di chi ha risposto al questionario ha un’altra attività lavorativa. Dalla ricerca emerge altresì che il settore è poco sostenuto da finanziamenti di terzi. L’aiuto di enti pubblici e privati pesa solo il 23%, per il restante 77% si parla di autofinanziamento. L’84%, inoltre, ha dichiarato di non aver ricevuto in passato contributi da parte della Città. Vero è, però, che negli anni la Divisione eventi ha sostenuto e sostiene gli artisti locali con eventi dedicati, la possibilità di esibirsi allo Studio Foce e dal 2022 promuove un concorso per delle residenze artistiche.

Di contro, i contributi a livello cantonale sembrano essere più presenti, anche perché gli strumenti di sostegno sono più specifici per questo settore. Parlando di ricavi, per la maggior parte di chi è attivo sempre a livello professionale o semi professionale gli introiti della musica dal vivo sono i più importanti. Ma questa attività di diffusione ha un’importante movimento fuori cantone. E la spiegazione pare essere presto data, se leggiamo il dato relativo alla percezione della reperibilità di spazi: il 96% indica come difficile trovare spazi per le attività di diffusione

Durante l’incontro con la stampa, è stato anche accennato alla «revisione totale» del sistema dei contributi, che «sarà l’occasione per pensare ad implementare ciò che già esiste con strumenti specifici, a sostegno di un settore che va valorizzato con un maggiore supporto e riconoscimento». Al netto dei risultati, il processo partecipativo che ha portato ai risultati di questa indagine è stato un esercizio importante sia quantitativo sia qualitativo. Una spinta che, forse, potrebbe «cambiare il paradigma rispetto a come è stata vista in passato la cultura».