Tra dibattiti sugli spazi culturali, proposte politiche e difficoltà varie, gettiamo uno sguardo sulle strategie che permettono a tre esercenti ticinesi di continuare la propria attività cinematografica.

di Chiara Fanetti (CB 15 maggio 2024)

A Zurigo a fine 2023 Città e Cantone hanno stanziato quasi 600’000 franchi per salvare le sale gestite da Neugass Kino AG e da Arthouse Commercio Movie AG (quest’ultima in meno di sei mesi ha dovuto chiudere due cinema). A sbloccare questi fondi è stata la convinzione che la fine dell’attività di altre sale avrebbe avuto un grosso impatto sull’offerta culturale zurighese, dato che molti film indipendenti, sperimentali e anche svizzeri non sarebbero stati proiettati da nessun’altra parte. A fronte dello scenario preoccupante riguardo lo stato di salute delle sale cittadine, lo sforzo delle istituzioni mostra un punto di vista incoraggiante: la percezione della sala cinematografica come luogo culturale per la società e per il territorio.

Un concetto simile è alla base della riapertura a Losanna dello storico Capitole, sopravvissuto grazie all’acquisto da parte della Città e alla gestione della Cineteca svizzera, ma anche di una realtà più piccola come il Cinema Teatro Blenio di Acquarossa, che beneficia del sostegno di contributi pubblici e associazioni, nonché del supporto di un’intera comunità.

Tendenzialmente però per le sale art-house e le realtà estranee alle grandi catene, è necessario trovare strategie specifiche che rendano sostenibile un esercizio commerciale – il cinema – che solo commerciale non è.

Collaborazioni con città, comuni e istituzioni culturali

«Noi sopravviviamo perché paghiamo un affitto di favore al comune, simbolico per quelli che sono gli spazi. È una situazione che ci permette di stare a galla bene e sappiamo che se siamo in difficoltà possiamo chiedere una mano». A parlare è Joel Fioroni, che dal 2018 gestisce il Lux Art House (di proprietà del comune di Massagno) con la sua JFC sagl, società che dal 2022 si occupa anche del Cinema Iride, 80 posti in centro a Lugano di proprietà della Fondazione Maghetti. Anche in questo caso l’accordo è basato su una pigione di favore ma con un discorso culturale di fondo e qualche paletto da rispettare sui titoli in cartellone, essendo la fondazione legata alla Chiesa. Una conduzione su due sale che sta dando buoni risultati, anche grazie alle collaborazioni che Fioroni ha sviluppato con istituzioni culturali (LAC, Museo d’Arte della Svizzera Italiana e Museo delle Culture) e con le attività promosse dalla città, che ora hanno spostato le proiezioni all’Iride: «bisognava fargli capire che ci sono realtà esperte già operative nel campo del cinema, realtà che hanno bisogno di queste sinergie. Noi su queste collaborazioni ci campiamo e ci portano nuovo pubblico».

Creare un circuito, differenziare l’offerta

Da un anno a questa parte nel Locarnese ha preso vita un piccolo circuito, Onde Cinema, grazie all’esperienza di Antonio Prata, che da tempo si occupa della programmazione dell’Otello di Ascona (monosala di proprietà privata), a cui ora si aggiunge quella del Rialto, spazio del Locarno Film Festival con tre sale. «Questa è stata la migliore stagione degli ultimi anni. Ho potuto distribuire titoli particolari su più sale, in modo prolungato, e ho visto arrivare anche generazioni più giovani», ci dice Prata, «il cinema e la cultura devono riprendersi del tempo, per la creazione ma anche per la distribuzione e la diffusione. Se la gente ha più tempo per vedere un film si abbona anche più facilmente. In Ticino dovremmo creare un dialogo maggiore tra esercenti, coordinarci prima tra noi e fare proposte dirette ai distributori».

Il cinema in fondo è sempre legato alle scelte che fa il pubblico. Lo pensa Luca Morandini, distributore e gestore del Cinema Multisala Teatro di Mendrisio, quattro sale di proprietà della sua famiglia da cinque generazioni. «Al pubblico se non dai non ricevi. Abbiamo provato ad essere sempre all’avanguardia, aggiornando costantemente tecnologia e comfort. Il pubblico ora segue generi diversi e bisogna avere più sale per far fronte a queste esigenze». La prova si trova nella programmazione stessa dello storico cinema, che propone un mix tra film commerciali e d’essai. A questo si affiancano gli eventi, le proiezioni estive all’aperto (più di 120 annualmente) e la distribuzione: un’ottimizzazione di costi e risorse, un progetto imprenditoriale a conduzione familiare completamente autosufficiente.

Locarnese, Luganese e Mendrisiotto: tre esempi in cui si sono raggiunti dei fragili equilibri, dove la suddivisione delle proposte tra sale è fondamentale, visto il bacino d’utenza limitato e la prossimità con l’Italia, e dove le scelte si prendono anche posizionandosi diversamente rispetto alle grandi catene.

C’è spazio per un nuovo Corso?

Ciclicamente a Lugano ricompare un tema: la riapertura del cinema Corso. Opera dell’architetto Rino Tami, inaugurato nel 1956, il Corso è un gioiello tutelato dalla Legge cantonale sulla protezione dei beni culturali ma è fermo nella sua attività cinematografica da molti anni. È una grande sala singola (più di 500 posti) che non ha mai effettuato il passaggio al digitale, una ‘cattedrale’ in pieno centro città che si rianima solo in occasione del Film Festival dei Diritti Umani, dieci giorni l’anno. Ad inizio aprile – poco prima delle elezioni comunali – un’interrogazione interpartitica dell’ala di sinistra ha riattivato il discorso intorno alla sala, chiedendo al Municipio di intervenire per sostenerne la riapertura, con un’acquisizione o tramite la collaborazione con privati. Un nobile intento che però non tiene conto del grosso investimento iniziale, dei costi di gestione e non da ultimo dell’opinione dei proprietari, la stessa famiglia Tami.

L’ipotetico inserimento sulla scacchiera luganese di una sala simile ha suscitato diverse riflessioni. Per Fioroni «riaprirla sarebbe un sogno, ma se non c’è qualcuno che tiene ordine tra la programmazione delle sale si rischia una guerra senza vincitori. Se la città cercasse un guadagno da chi può permettersi un grosso affitto si entrerebbe in dinamiche molto diverse». Per Morandini è una sala «sovradimensionata per un’attività regolare su quel territorio e il pubblico si dividerebbe. Nell’ambito istituzionale e culturale potrebbe giocarsi le sue carte, con eventi puntuali di richiamo per il pubblico, per coprire parte delle spese. Sarebbe più una scelta politica». Più positivo Antonio Prata: «non si può aprire uno spazio del genere senza pensare ad attività extra cinematografiche. Bisogna cambiare filosofia di programmazione, queste sono sale che vanno arricchite. Bisogna lavorare con gente esperta e avere una base economica importante. Se Lugano cerca una ripartenza dal punto di vista culturale, questa sarebbe una mossa che la renderebbe più attrattiva a livello nazionale. Ci sono associazioni che gestiscono questi spazi, non deve per forza farlo un imprenditore».

Il cinema come luogo di cultura

Se le istituzioni talvolta considerano i cinema tra i protagonisti del mondo della cultura si può dire lo stesso della società, del pubblico? In Ticino è in corso da mesi un importante discussione sulla disponibilità di spazi, mezzi e autonomia da destinare alla cultura non istituzionale, ma nei dibattiti – mediatici e non – sono restati ai margini quei luoghi che già svolgono specifiche attività culturali: sale concerti, teatri, cinema. «Questa cosa mi preoccupa, nella percezione della gente la sala cinematografica rischia di essere vista sempre meno come uno spazio culturale”, ci dice Prata. «Sono luoghi dove oggi si potrebbe fare anche altro, non solo proiezioni. Tante cose sono cambiate ma credo che la responsabilità sia anche nostra, collettiva». Ci vuole sensibilità e responsabilità anche da parte dei cittadini per seguire questi luoghi e farli vivere.  

https://cinebulletin.ch/fr_CH/cb-545-mai-2024/programmkinos-im-tessin